Il Tribunale viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, previsto dall’art. 112 c.p.c., quando liquida un danno da perdita del rapporto parentale in luogo della richiesta espressa di danno parentale, esistenziale e morale. Tale discrepanza tra domanda e decisione comporta una violazione del principio dispositivo e del diritto di difesa, elementi centrali del giusto processo.
A chiarire ulteriormente questa tematica è intervenuta la Cassazione con l’ordinanza n. 23300 del 28 agosto 2024, secondo cui è risarcibile il danno non patrimoniale derivante dalla lesione del rapporto parentale, anche nei casi in cui la vittima non sia deceduta ma abbia riportato lesioni gravi e permanenti (nel caso specifico con postumi del 38%). In tali circostanze, l’art. 1223 c.c. non ostacola il risarcimento, poiché il danno ha origine diretta e immediata nel fatto illecito.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 13540 del 17 maggio 2023, ha ulteriormente precisato che, trattandosi di un danno psichico e relazionale, non è necessario un accertamento scientifico per provarlo. È sufficiente ricorrere a indizi gravi, precisi e concordanti, capaci di dimostrare uno sconvolgimento dell’equilibrio di vita e del legame affettivo, derivante dalla condizione della persona lesa.
Nel caso esaminato, la distinzione tra danno parentale e danno da perdita del rapporto parentale non assume rilievo pratico ai fini del giudizio. Infatti, la situazione di coma irreversibile protrattasi per oltre quattro anni ha determinato la cessazione della comunicazione affettiva tra madre e figlia, assimilabile – sotto il profilo relazionale – a una morte anticipata. La sofferenza generata da una condizione vegetativa prolungata, secondo la Corte, può essere anche maggiore rispetto al lutto causato da un decesso, poiché impedisce una piena elaborazione del dolore, alimentando un’illusoria speranza di recupero.
Anche il nesso di causalità tra sinistro e decesso viene considerato presumibile. Un organismo in stato vegetativo permanente si trova in una condizione di vulnerabilità tale da rendere prevedibile il progressivo cedimento delle funzioni vitali, indipendentemente dalla presenza di ulteriori concause come l’età avanzata.
Il risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio del congiunto è ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza anche in caso di mera lesione del rapporto affettivo, senza necessità di un evento letale. Lo confermano precedenti rilevanti della Cassazione (sent. n. 8827/2003; n. 16992/2015), che hanno chiarito come tale danno sia legato alla sofferenza morale e all’alterazione della relazione familiare provocate da un fatto illecito.
In conclusione, la pronuncia in esame sottolinea l’importanza del rispetto del principio di corrispondenza tra domanda e decisione, ribadendo al contempo che il danno relazionale può essere liquidato anche in assenza di morte, ogni qualvolta sia gravemente compromesso il legame parentale a causa di lesioni invalidanti e irreversibili.