La responsabilità sanitaria per le infezioni nosocomiali è un ambito giuridico ampiamente trattato dalla giurisprudenza, che ha consolidato il principio secondo cui l’onere della prova grava sulla struttura sanitaria. Un recente contributo in questa direzione è arrivato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6386/2023, che ha ribadito con fermezza un punto cardine: è compito della struttura dimostrare di aver adottato protocolli adeguati per prevenire il rischio infettivo e di averli correttamente applicati.
Nel nostro ordinamento, quando un paziente contrae un’infezione durante un ricovero o una procedura sanitaria, la responsabilità della struttura scatta se non è in grado di fornire prova della corretta attuazione di tutte le misure preventive. In particolare, l’ospedale o la clinica deve dimostrare:
di aver predisposto e aggiornato protocolli di prevenzione efficaci;
di averli applicati in modo conforme agli standard sanitari;
di aver monitorato costantemente l’applicazione di tali protocolli.
Questo approccio si fonda sul principio della prova liberatoria: la struttura deve fornire documentazione chiara e completa che attesti di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. In caso contrario, la responsabilità per malasanità viene presunta, anche in assenza di un collegamento diretto e certo con la causa dell’infezione.
Un altro elemento centrale evidenziato dalla sentenza è il criterio del “più probabile che non”, ormai cardine nei giudizi civili in materia sanitaria. Per ottenere un risarcimento, il paziente non deve dimostrare il nesso causale con certezza assoluta, ma è sufficiente che dimostri, con un grado di probabilità superiore al 50%, che l’infezione sia stata causata da una gestione inadeguata della struttura.
Questo principio rafforza la tutela del paziente, rendendo più accessibile l’accertamento della responsabilità nei casi in cui vi sia una documentazione carente o contraddittoria. La Cassazione ha sottolineato che una condotta omissiva, unita alla mancanza di prove di corretta applicazione dei protocolli, può essere ritenuta causa altamente probabile dell’infezione contratta.
Per evitare responsabilità, le strutture sanitarie sono quindi chiamate a un approccio proattivo e rigoroso nella gestione del rischio infettivo. È necessario:
garantire l’adozione di protocolli aggiornati e conformi alla normativa vigente;
documentare accuratamente ogni fase della gestione del paziente;
effettuare controlli interni e audit regolari per verificare l’effettiva applicazione delle misure di prevenzione.
La sentenza n. 6386/2023 della Corte di Cassazione rappresenta un ulteriore punto fermo sul tema della responsabilità sanitaria per infezioni ospedaliere. Viene ribadito che la mancanza di prove a favore della struttura equivale a una presunzione di colpa, e che il paziente, per ottenere un risarcimento, deve solo dimostrare l’alta probabilità che il danno derivi da una condotta inadeguata.
Questo orientamento conferma la linea seguita negli ultimi anni: prevenzione, tracciabilità e trasparenza non sono solo requisiti etici, ma obblighi giuridici fondamentali per tutelare la salute dei pazienti e limitare il rischio di contenziosi per malasanità.