Una sentenza destinata a fare scuola: la Cassazione civile (Sez. III, 30 dicembre 2024, n. 35062, Pres. Rubino – Est. Vincenti) ha ribadito che una struttura sanitaria può essere ritenuta responsabile per un’infezione contratta in ospedale anche in assenza di prove dirette, se non è in grado di dimostrare, con documentazione adeguata, di aver adottato tutte le misure precauzionali necessarie per prevenire il contagio.
Il caso riguardava una paziente deceduta in seguito a un’infezione correlata all’assistenza sanitaria. A presentare ricorso, i familiari, che chiedevano il risarcimento dei danni jure proprio. La struttura sanitaria, però, non aveva prodotto alcuna documentazione relativa a protocolli, sanificazioni, misure di isolamento o altre precauzioni adottate per tutelare la paziente.
E qui interviene il punto centrale della sentenza: secondo la Suprema Corte, in base al principio della vicinanza della prova, è la struttura a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’infezione. Quando questa documentazione manca, il giudice può fondare la propria decisione su presunzioni semplici, cioè su deduzioni logiche basate su fatti noti e circostanze del caso.
📌 Tradotto in parole semplici?
Se l’ospedale non è in grado di dimostrare cosa ha fatto per prevenire il contagio, la responsabilità può essere riconosciuta anche senza una prova “classica”. La mancanza di documentazione, in sé, diventa un indizio grave a favore del paziente.
🔍 Un cambio di prospettiva importante
Questa sentenza segna un cambio di passo: non si tratta più solo di curare bene, ma di saper dimostrare di averlo fatto. La prevenzione non è solo un dovere medico, ma anche un obbligo documentale e giuridico.
In tempi in cui la sicurezza sanitaria è al centro dell’attenzione, la Cassazione lancia un messaggio forte: chi non è in grado di provare le precauzioni adottate, ne paga le conseguenze.
Una lezione chiara per tutte le strutture sanitarie: la cura parte anche dai documenti.