L’azione di rivalsa rappresenta uno strumento attraverso cui una struttura sanitaria, pur rispondendo direttamente nei confronti del paziente per il danno subito, può successivamente chiedere al medico responsabile di contribuire, in tutto o in parte, al risarcimento già corrisposto. Tuttavia, i margini entro cui tale rivalsa può essere esercitata sono rigidamente disciplinati dalla normativa vigente.
Secondo l’art. 9 della Legge Gelli-Bianco, la struttura sanitaria può esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del medico solo in presenza di colpa grave, escludendo quindi qualsiasi responsabilità da colpa lieve. Inoltre, è necessario che la struttura:
abbia già versato l’intero risarcimento al paziente;
agisca entro un anno dal pagamento;
non possa invocare criticità organizzative come giustificazione per l’errore;
rispetti il limite massimo di rivalsa, pari al triplo della retribuzione annua del medico.
Anche nei casi in cui il danno sia esclusivamente imputabile al sanitario, l’azione di rivalsa non può essere esercitata per l’intero importo, a meno che la struttura non provi che il medico abbia agito con una condotta eccezionalmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile. In assenza di questa prova, la responsabilità viene ripartita in misura pari tra medico e struttura sanitaria (50% ciascuno), anche quando l’errore sia riconducibile solo al medico.
Un altro aspetto rilevante riguarda i limiti di responsabilità per problemi tecnici di speciale difficoltà, disciplinati dall’art. 2236 del codice civile. Questa norma stabilisce che il prestatore d’opera – in ambito sanitario, il medico – risponde solo in caso di dolo o colpa grave, quando la prestazione richiede la soluzione di problemi tecnici particolarmente complessi.
La Corte di Cassazione ha tuttavia precisato che questa esenzione non si applica nei casi di negligenza o imprudenza. Anche se l’intervento è oggettivamente complesso, il medico può essere ritenuto responsabile se l’errore è stato determinato da:
Imprudenza: condotta avventata o pericolosa, come trattamenti non necessari;
Imperizia: mancanza di competenza tecnica o esperienza;
Negligenza: inosservanza degli standard clinici, disattenzione o superficialità.
Pertanto, l’errore medico rimane sanzionabile anche in presenza di difficoltà tecniche, qualora vi sia stata una gestione non conforme ai principi di diligenza professionale.
La recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce alcuni concetti fondamentali per il diritto sanitario:
La struttura sanitaria è sempre responsabile verso il paziente per le condotte colpose dei professionisti da essa incaricati;
L’azione di rivalsa è ammessa solo in casi di colpa grave e secondo limiti ben precisi;
L’esenzione prevista dall’art. 2236 c.c. non opera nei casi di imprudenza o negligenza.
Alla luce di questi principi, risulta evidente la necessità di una gestione contrattuale e organizzativa accurata del rapporto tra struttura e professionisti sanitari, con particolare attenzione ai profili assicurativi e alla definizione delle responsabilità nei protocolli interni. Solo attraverso un quadro normativo chiaro e una prassi condivisa si può garantire un corretto equilibrio tra tutela del paziente e giusta ripartizione delle responsabilità.