Con la sentenza n. 34156/2023, la Corte di Cassazione ha affrontato tre temi centrali in materia di malpractice sanitaria, offrendo importanti chiarimenti sulla responsabilità della struttura sanitaria, sull’azione di rivalsa nei confronti del medico, e sull’applicabilità dell’art. 2236 c.c. in caso di prestazioni di particolare complessità.
La vicenda nasce da una causa intentata da una paziente, sottoposta a intervento chirurgico per endometriosi profonda al IV stadio, contro l’ASL, la Casa di Cura coinvolta e il medico esecutore, per ottenere il risarcimento dei danni da errore medico. Le accuse riguardavano la non corretta esecuzione dell’intervento, l’inadeguatezza gestionale della struttura, e la responsabilità dell’ASL, che aveva affidato la prestazione a terzi.
I convenuti hanno sollevato diverse eccezioni: il medico ha rivendicato la correttezza dell’operato secondo linee guida e la presenza di una “speciale difficoltà tecnica”; la Casa di Cura ha negato responsabilità diretta, rimandando alla competenza dell’ASL; quest’ultima ha contestato la propria legittimazione passiva, proponendo in subordine azione di rivalsa verso gli altri soggetti coinvolti.
Uno dei punti chiave è la responsabilità della struttura sanitaria per prestazioni erogate tramite terzi, disciplinata dall’art. 7, comma 1, della Legge Gelli, che afferma la responsabilità della struttura anche quando il professionista non è suo dipendente, purché l’attività sia stata svolta nel quadro dell’obbligazione contrattuale verso il paziente. La Corte ha ribadito che l’ASL risponde in solido con il medico, anche in assenza di un rapporto diretto di subordinazione, quando la prestazione è riconducibile all’organizzazione della struttura.
Un altro aspetto affrontato riguarda la rivalsa della struttura sanitaria sul medico. Secondo l’art. 9 della Legge Gelli, ciò è possibile solo in presenza di colpa grave, e a condizione che:
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la struttura abbia già risarcito integralmente il danno al paziente;
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la rivalsa sia proposta entro un anno dal pagamento;
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non sussistano criticità organizzative riconducibili alla struttura stessa;
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l’importo non superi il triplo della retribuzione annua del medico.
Se non viene dimostrata una condotta eccezionalmente grave, imprevedibile e improbabile, la responsabilità tra medico e struttura si considera paritetica (50%), anche se l’errore è interamente attribuibile al medico.
La Cassazione ha anche chiarito i limiti dell’art. 2236 c.c., che esonera da responsabilità nei soli casi di dolo o colpa grave, ma non si applica quando l’errore medico è dovuto a negligenza o imprudenza. La distinzione tra imperizia, negligenza e imprudenza è fondamentale, poiché solo la prima può trovare una (parziale) copertura nell’ambito della “speciale difficoltà tecnica”.
La pronuncia entra anche nel merito della tutela del rapporto parentale nei casi di grave lesione, riportando l’orientamento confermato dall’ordinanza n. 23300/2024 e dalla sentenza n. 13540/2023, secondo cui il danno non patrimoniale è risarcibile iure proprio anche in assenza di decesso. Viene infatti considerato giuridicamente rilevante lo sconvolgimento dell’equilibrio affettivo conseguente a una lesione grave, come nel caso di una condizione di coma irreversibile protrattasi per anni, che, di fatto, annulla la relazione affettiva tra congiunti.
Nel caso esaminato, il Tribunale ha riconosciuto la lesione del rapporto madre-figlia, sottolineando che la condizione vegetativa della paziente, pur non essendo un decesso, ha provocato una sofferenza emotiva prolungata e più lacerante, assimilabile agli effetti di una perdita.
In conclusione, la sentenza chiarisce tre principi fondamentali in ambito di malasanità e responsabilità medica:
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la struttura sanitaria risponde sempre delle condotte dei professionisti impiegati, anche se esterni;
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l’azione di rivalsa è limitata e subordinata a condizioni stringenti, con responsabilità condivisa in assenza di prova rafforzata;
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l’art. 2236 c.c. non esonera da responsabilità in caso di negligenza o imprudenza.
Queste indicazioni rafforzano l’esigenza di una corretta gestione dei rapporti professionali, non solo sotto il profilo assicurativo e contrattuale, ma anche nella definizione di responsabilità operative e nell’adozione di protocolli chiari e condivisi per garantire la sicurezza del paziente e la tutela giuridica degli operatori sanitari.